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Vittorio Banfi - Alberto Busato - Marco G. Busato

 

Meccanica Spaziale

 

Libreria Editrice Universitaria Levrotto & Bella - Torino

 

 

 

 

 

E’ interessante il seguente stralcio tratto dal primo paragrafo del Capitolo 1, avente per titolo “Introduzione storica sui primi passi della scienza celeste”.

       "Messi a punto i principi basilari della Meccanica, il balzo immediato non poteva essere che la conquista “teorica” dei nuovi cieli. Galileo, puntando il telescopio per primo, aveva avvicinato il Cielo alla Terra infrangendone la cristallina purezza tolemaica, Newton introdusse, estendendole ad esso, le leggi appartenenti alla Terra.

      Il modo col quale ciò avvenne, da cui risultò la formulazione della legge della gravitazione universale, deve essere ricordato come esempio della potenza del pensiero scientifico quando esso si eleva sulle ali del metodo tracciato da Galileo Galilei, anche nel caso in cui le varie fasi del metodo non sono riscontrabili tutte nella stessa persona.

      Il danese Tycho Brahe nel ventennio tra il 1570 e il 1590, effettua una lunga serie di osservazioni astronomiche riguardo al moto dei pianeti ricavandone una immensa mole di dati. Questo lavoro può riguardarsi come la fase del metodo galileiano in cui si osserva il fenomeno, si definiscono le grandezze da misurare e si procede al rilevamento di misure sistematiche.

      Sulla base dei dati di Tycho Brahe, Keplero, suo allievo, nel 1619 formula le tre leggi sul moto dei pianeti: 1) “I pianeti percorrono orbite ellittiche di cui il Sole occupa uno dei fuochi”; 2) “Il vettore che congiunge il Sole con un dato pianeta descrive aree uguali in tempi uguali, cioè la velocità “areolare” è costante”; 3) “Il quadrato del periodo di rivoluzione” T è proporzionale al cubo del semiasse maggiore dell’orbita a, cioè T 2 = K a3, essendo K uguale per tutti i pianeti solari”. Il lavoro di Keplero si può riguardare come la fase del metodo galileiano nella quale si elaborano i dati per giungere al loro inquadramento in leggi che li legano.

      Ma a questo punto la conoscenza del Cielo era ancora imperfetta e particolaristica; occorreva un’opera di sintesi, la scoperta di una legge dalla quale tutte le altre leggi note (Kepleriane) ed altre conseguenze verificabili sperimentalmente potessero esser fatte discendere. E questa è la fase di ricerca condotta da Newton sfociante nella formulazione della legge di gravitazione universale:

 

0.3

 

che doveva portare ad unificare in un’unica legge i fenomeni meccanici sulla Terra e nei cieli.

       Per renderci conto dell’importanza storica (oltre che scientifica) della formula 0.3, e della “svolta” che essa impresse alla conoscenza delle leggi della Natura (quelle che Galileo diceva essere scritte in caratteri matematici nel gran libro della Natura), basterebbe ricordare “l’ipotesi di fondo” che Keplero stesso prospettava per spiegare il moto dei pianeti attorno al Sole. Un’ipotesi, nella quale era assente ogni concetto di attrazione centrale, cioè di forza agente secondo la retta passante per i centri del pianeta e del Sole. Secondo Keplero, invece, l’azione del Sole sul pianeta doveva essere simile ad una azione di trascinamento esercitata lungo il percorso orbitale da forze dirette nel senso del moto, cioè tangenzialmente all’orbita, in ciò non discostandosi dalla credenza aristotelica che voleva la  cau-

“causa del moto”,  cioè  la  forza,diretta secondo la velocità impressa e ad essa propor-zionale.

   In assoluta conformità coi tempi, Keplero attribuiva poi a tali forze una non precisabile natura “magnetica”, e pensava che il loro potere di trascina-mento fosse la conseguenza diretta di un concomi-tante moto rotatorio proprio del Sole.

   In una immagine coerente, da Keplero stesso adombrata, tali forze, emanate dal Sole ed eserci-tanti una azione trasversale rispetto alla direzione Sole-pianeta, erano concepite come gigantesche ma-ni o braccia che spingevano i pianeti sulle loro orbite, come si tenta di mostrare in FIG. 0.1.

      Keplero aveva quindi dedotto delle leggi giuste sul moto  dei  pianeti  attorno  al  Sole, ma, ancora in parte legate ai vecchi canoni aristotelici, aveva poi fallito nel proporre una legge di sintesi, anche se deve essergli attribuito il merito di aver intuito che c’era ancora molta strada da percorrere per una comprensione logica dell’Universo. Lui non riuscì a trovarla, ma questo, per i tempi, era al di là delle sue possibilità. Toccherà al genio di Newton, muo-vendosi sul preciso terreno scientifico indicato da Galileo, e ormai affrancato da ogni legame di sud-ditanza con la vecchia filosofia, fare il salto decisivo di qualità che  avrebbe prodotto la  legge di gravita-zione universale.

    A ben vedere, in tale opera di  Newton  possiamo

riconoscere i caratteri distintivi di quella fase di ricerca che Galileo chiamava “del cimento” nella quale ad una teoria scientifica viene dato il crisma definitivo della validità, attraverso la prova sperimentale. Per renderci conto di tale affermazione vediamo come Newton riuscì a dimostrare “sperimentalmente” il collegamento tra le leggi “terrestri” e quelle “celesti” mediante il calcolo del periodo lunare. Ragionò così: Se la legge di gravitazione 0.3 è una legge universalmente valida, allora essa rende ragione sia della forza che la Terra esercita sulla Luna, sia della forza che la stessa Terra esercita su di un grave, facendolo cadere sulla sua superficie."

 

 

ARGOMENTI TRATTATI

    11.      Nozioni sul moto di due corpi cosmici.

0    2.      Moto di un satellite artificiale nello spazio e caratteriz-zazione dell’orbita.

0    3.      Trasferimento da un’orbita all’altra.

0    4.      Questioni concernenti il moto kepleriano su orbita ellittica.

0    5.      Perturbazioni dell’orbita causate da asfericità della Terra.

0    6.      Perturbazioni dell’orbita causate dalla presenza di un terzo corpo.

0    7.      Perturbazioni dell’orbita causate da forze non gravitazionali.

0    8.      Viaggi interplanetari.

0    9.      Moto accelerato da una spinta continua in campo gravitazionale. 

 

 

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